Se metto la mano fuori dalla finestra mi sembra di avere alle spalle quel letto. Le Nostre Anime di Notte è l’ultimo libro di Kent Haruf, l’ultimo che il grande scrittore americano ha consegnato al suo editore prima di lasciarci nel 2014. Uscito postumo in America e in Italia solo nel 2017, grazie alla NN edizioni che – dal mio punto di vista – ha realizzato delle copertine bellissime per l’intero percorso di Haruf, dalla Trilogia della Pianura a queste 170 pagine con cui salutiamo, una volta per tutte, Holt. Chi ha letto le altre opere, conosce la cittadina immaginaria del Colorado dove abbiamo persone vere che ci aspettano. Una coppia di fratelli anziani, una ragazza madre, un professore, un reverendo, una famiglia e la perdita, la rinascita, la grandezza del minimale. “Le nostre anime di notte” è l’atto conclusivo di Holt, un libro che chiude un percorso, offrendo, con quella stessa disarmante semplicità, il suggerimento di essere l’unica vera cronaca della cittadina dalle campagne spoglie e vastissime, dall’aria color ocra e dal sapore di polvere. L’unica vera rispetto alle vicende della Trilogia. Ma Haruf di questo in realtà non ci convincerà mai.
Addie si alzò e uscì per tornare a casa, lui rimase sulla porta a guardarla, una donna di settant’anni di corporatura media, con i capelli bianchi, che si allontanava sotto gli alberi, passando attraverso le chiazze di luce proiettate dal lampione all’angolo della strada. Ma che diavolo, si disse. E adesso cerca di non essere precipitoso.
A Holt vivono Addie Moore e Louis Waters. Hanno una settantina di anni, sono vedovi, abitano nello stesso quartiere ma non hanno mai avuto rapporti stretti oltre le formalità. La storia inizia con Addie che si presenta a casa di Louis e gli chiede di passare le notti con lei. Così, senza preamboli, senza imbarazzi. Non c’è nulla di sessuale nella proposta, si capisce subito che è una lingua di condivisione. La scrittura di Kent Haruf, asciutta e vivida, veicola in maniera diretta e fotografica l’incontro di un uomo e di una donna. Per quello che sono, nella loro intimità che va ben oltre l’erotismo. Nell’epilogo di un ciclo – quello della vita – c’è la rinascita attraverso l’unione, cercata ma quasi casuale nel trovarsi veramente, di due storie che vengono fuori nelle notti trascorse uno accanto all’altra a parlarsi, a svelare qualcosa di sé. La morte dei rispettivi partner, le storie di famiglia, il tradimento, il sacrificio, perdono l’impatto drammatico per trovare un senso di pacificazione nel racconto notturno di queste due anime. Una catarsi emotiva. Stupendo per me il ruolo del nipote Addie, un bambino di sei anni, come ho detestato con ogni fibra del mio corpo il figlio di lei, Gene. Addie e Louis si scontrano, nonostante l’età, la consapevolezza e un certo tipo di libertà, con i giudizi stereotipati di chi sta intorno.
Le nostre anime di notte è un piccolo gioiello.
Allora parla con me, rispose lei.
Di qualcosa in particolare?
Qualcos’altro su di te.
Non ti sei ancora stancata?
Ancora no. Quando succederà, te lo farò sapere.
E’ stato l’ultimo libro del 2017 per me e il primo del 2018. L’ho concluso la sera del primo gennaio, e ho pensato fosse un buon modo di iniziare un periodo nuovo. Il dialogo è l’onda che trasporta non tanto il senso quanto lo spirito di questo libro. Riesce a infondere serenità e coraggio anche quando serenità e coraggio non ne ha. Non è una storia d’amore, è la storia di due persone che si appartengono a un certo punto del viaggio. E c’è l’asprezza di Kent Haruf, che trasuda vita reale mentre fa correre un bambino urlante per le stanze in preda agli incubi perché pensa di essere stato abbandonato dai genitori, quando descrive un canile, quando mostra e non racconta la crudeltà dei pregiudizi. Eppure nelle pieghe critiche, nel grigio che c’è tra le righe di Holt, i sentimenti trovano sempre la strada. Non ho ancora visto il film, che è uscito a settembre del 2017, di Ritesh Batra con Robert Redford e Jane Fonda, volevo prima finire tutti i libri del ciclo, ma ne parlerò più avanti. Intanto posto Le nostre anime di notte, che offre, in fondo al volume, la mappa di Holt. L’ho guardata e riguardata, la biblioteca, la stazione, l’alimentari, l’abitazione di Mary Wells e delle figlie. Si può vedere con precisione dove è la fattoria dei fratelli McPheron, credetemi, non così distante dalla casa di Addie Moore.
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