“Una cosa da lasciarti secco”. Detto, ripetuto, abbiamo parlato come lui senza sapere neanche il perché. Febbraio è il mese di San Valentino, innamorati di ogni età brindano, vanno a cena, si scambiano doni. Non voglio giudicare, sia chiaro, e neanche fare le lastre delle vostre abitudini di coppia. Allora preferisco metterla così, sia che siate i tipi classici tutte smancerie, pronti con i cioccolatini, il ristorante prenotato, sia che siate gli estroversi, gli stravaganti che componete una canzone per la vostra metà, create piccoli regali artigianali e vi struggete solo per il suo (di lei o di lui) profumo, sia che invece siate i forastici del San Valentino, perché questa storia del dover andare in sollucchero per forza non la sopportate per niente, e il più delle volte vi muovete nella giornata con fare mecanico solo per rendere felice il partner, bene, per tutti voi, c’è una soluzione. Fidatevi di me. Regalate libri. Uniscono, tengono caldi, accompagnano il vostro tempo. Volete strafare? Organizzate una serata in cui leggete ad alta voce i passi che avete scelto. Ci unite una bollicina di quelle buone, e poi raccontatemi come è andata.
Partendo dal presupposto che serve lo spirito giusto a ogni età, magari avete sedici anni e siete al vostro primo amore, magari ne avete quaranta (e non diciamo a che numero) ma avete scoperto che la vostra metà del cielo se ne è andata per le strade in gran tranquillità senza averlo letto prima. Insomma, tra i libri per San Valentino non deve assolutamente mancare per alcuna ragione al mondo, Il giovane Holden dello scrittore americano Jerome David Salinger, uscito nel 1951 e da decenni punto di riferimento assoluto di generazioni. Viviamo per pochi giorni con il sedicenne Holden Caulfield dal momento in cui viene bocciato all’istituto Pencey e vaga poi per New York per la paura di dirlo ai suoi. C’è un fratello morto di leucemia, una sorella la vecchia Phoeby, Jane, la cara vecchia Jane, l’insofferenza, il linguaggio secco, l’indisponente rabbia, e le anatre. Caspita, io quando vedo un lago, penso sempre alle anatre di Holden.
“L’autista era un dritto. – Qui non posso girare, amico. C’è il senso unico. Ormai devo arrivare fino alla Novantesima Non avevo voglia di far discussioni. – D’accordo, – dissi. Poi, di colpo, mi tornò in mente una cosa. – Senta un po’, -dissi. – Sa le anitre che stanno in quello stagno vicino a Central Park South? Quel laghetto? Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anitre quando il lago gela? Lo sa, per caso? -Mi rendevo conto che c’era soltanto una probabilità su un milione. Lui si girò a guardarmi come se fossi matto. – Che ti salta fai testa, amico? – disse. – Mi prendi per fesso? – No, mi interessava, ecco tutto”
Il giovane Holden è un libro d’amore? Ma no, è un libro su di noi e amare è questo in fin dei conti, condividere quello spazio che siamo pronti a offrire. E’ il libro della crescita, della gioventù, del mondo senza filtri. San Valentino tempo d’amore, va bene, avete ragione. Non c’è donna che non abbia le paturnie di questi giorni, provare per credere, se non le hanno fingono solo molto bene, sono addestrate sul campo come delle professioniste. C’è un titolo che non può mancare mai e poi mai tra i libri per San Valentino, parlo di Colazione da Tiffany di Truman Capote, uscito nel 1958, diventato famosissimo con il film che solo tre anni dopo portò Holly sul grande schermo con il volto di Audrey Hepburn.
“E, a un tratto, accadde. Mentre guardavo i colori sfumati dei capelli di Holly balenare nella luce rosso gialla delle foglie, l’amai abbastanza da dimenticare me stesso, le mie disperazioni egoistiche e da essere contento perché stava per succedere qualcosa che lei pensava felice”
Proprio recentemente mi è capitato che una persona che conosco, a cui voglio bene, una donna in gamba di quelle che si sono fatte da sole, mi abbia chiesto: ma cosa c’è in Colazione da Tiffany di speciale? Si riferiva al film che si discosta dal libro in alcuni elementi, come Paul, ma soprattutto nel finale. Me lo ha detto di sfuggita, ci stavamo salutando, così non sono stata in grado di darle una risposta efficace. Mi sono solo immaginata davanti la vetrina di Tiffany, all’alba, rientrando all’ora della colazione. Quella vetrina, il negozio, solo gli unici posti al mondo dove Holly si sente al sicuro. Ce lo racconta in un flashback, nel libro, il suo amico e vicino d’appartamento di New York. Holly ha un gatto che chiama gatto perché è senza nome, è una donna irrequieta, con un passato duro, che compie scelte difficili ma che ama la libertà e non riesce a farsi intrappolare. Leggetelo, leggetelo, leggetelo. Il film lo adoro, ma il finale è diverso. Sul grande schermo c’è il lieto fine, nel libro il sapore è amaro.
“Non amate mai una creatura selvatica, signor Bell”, lo ammonì Holly. “È stato questo lo sbaglio di Doc. Si portava sempre a casa qualche bestiola selvatica. Un falco con un’ala spezzata. E una volta un gatto con una zampa rotta. Ma non si può dare il proprio cuore a una creatura selvatica; più le si vuole bene più forte diventa. Finché diventa abbastanza forte da scappare nei boschi. O da volare su un albero. Poi su un albero più alto. Poi in cielo. E sarà questa la vostra fine, signor Bell, se vi concederete il lusso di amare una creatura selvatica. Finirete per guardare il cielo”