Grandina nella prima domenica estiva quando mi decido a iniziare la recensione di Resto qui, quarto romanzo di Marco Balzano tra i finalisti del premio Strega. Un libro difficile dal punto di vista emotivo, che compie l’impresa di anestetizzarti intorno alla metà. Non che non senti più nulla, ma almeno, per quanto mi riguarda, ho smesso di piangere come facevo all’inizio, costretta a chiudere il libro ogni cinque pagine. Dico davvero. Siamo in Sud Tirolo, conosciamo Trina quando il fascismo è in ascesa. Vive a Curon dove l’acqua ha sommerso (questo accadrà dopo) ogni cosa tranne il campanile che resta di vedetta. E’ una storia amara di sofferenza, scelte, guerre e tenacia. Trina è asciutta nel modo di raccontare quegli anni terribili, e mentre parla a sua figlia, è ancora più capace, vera, reale, davanti a noi, con abiti pesanti cuore forte. Conosce Erich, ma passa un bel po’ di tempo prima che qualcuno compia un passo, anzi servirà Pà come al solito a crearle la strada per sposare quel contadino squattrinato dalle idee chiare. Solido e silenzioso. Quando Mussolini arriva al potere, a Curon viene imposto l’italiano. Persino le lapidi che sono in tedesco vengono tradotte. Neanche i morti sono risparmiati.

Io invece credevo che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenerse strette per quando la vita si complicava e si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, parole.

Trina diventa una maestra clandestina, e sono pagine che non si dimenticano quelle in cui viene descritta l’illusione di molti sudtirolesi che vedono in Hitler una salvezza. L’esperienza delle dittature separa la sua famiglia, con il maschio pronto ad arruolarsi con i nazisti. Trina e Erich finiranno sulle montagne, a nascondersi. Non c’è solo la vicenda storica, la sua pelle di donna, il progetto della diga che spazza via Curon dalle mappe è l’immagine più simbolica che c’è. Il dopoguerra non porta nessuna pace a Trina e sembra non portarne neanche a noi che leggiamo.
Ci avessero domandato quel giorno qual era il nostro desiderio più grande, avremmo risposto che era continuare a vivere a Curon, in quel paese senza possibilità da dove i giovani erano scappati e tanti soldati non erano più tornati. Senza voler sapere niente del futuro e senza nessun’altra certezza. Solo restare.
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