Caso letterario, un nuovo genere, Eleanor Oliphant sta benissimo di Gay Honeyman è un libro intenso sulla resilienza. Una giovane donna con la sua cicatrice e una realtà intorno che prende forma a partire dai suoi occhi, ci attrae con la sua mente brillante. Colta, raffinata, meravigliosamente diversa. Si legge bene, ma non è un romanzo leggero quello che abbiamo di fronte toccando la copertina di Garzanti, ci conduce dentro un percorso umano nel quale non possiamo non ritrovarci almeno nei limiti e nell’impulso a superarli. Vi è mai capitato di rientrare a casa la sera, chiudere la porta, e immergervi nella sensazione che tutto sia giusto lì dentro con le vostre regole? Eleanor Oliphant sta benissimo è un libro sulla solitudine. Sulla capacità di una donna di affrontare i propri demoni. La protagonista uscita dalla penna della scrittrice scozzese è irresistibile. Non perché bellissima, di successo, ma lo è per noi in ogni pensiero, nelle ironie, nella spiazzante sincerità.
C’è una distanza tra lei e tutto quello che ha intorno. L’ufficio di grafica dove fa la contabile, lì c’è uno schermo tra lei e i colleghi, una patina con quei tuffi nella vita, dal bon ton in caffetteria a come ci si debba comportare a una festa. Tutto questo le è estraneo. “Non bado agli altri”, dice Eleanor, quegli altri che la fissano, sussurrano, commentano. La cicatrice sul volto è il marchio che sta lì anche per noi. Lo sappiamo, lo intuiamo a un certo punto. Ma non c’è il disvelamento tragico, la sentiamo una presenza determinante. E ci basta. Produce reazioni non solo per le ferite sul viso, ma i suoi comportamenti destabilizzanti generano nelle persone che le sono intorno derisione e a volte disprezzo. La stupidità umana di fronte a ciò che non capisce. Così le giornate scorrono meccaniche nelle abitudini, non parla quasi mai con altri, vive in una casa dove nessuno ha messo piede a parte un addetto e i servizi sociali, una volta l’anno. Il mercoledì sera gli unici dieci minuti terribili della settimana. La telefonata con la madre.

Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata dalla prigione. Da mia madre. Dopo, quando chiudo la chiamata, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.

E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.

O così credevo, fino a oggi.

Qualcosa cambia quando Eleanor scopre la gentilezza, l’attenzione. Si innamora di un musicista e per riuscire a conoscerlo deve usare internet, si tortura con la ceretta, sistema i capelli. Una trasformazione che genererà un cambiamento negli altri, ma non in se stessa. Altro è a muoverla verso una nuova fase in cui affronterà gli angoli bui e le ombre. Affiorano le storie tragiche della sua infanzia, ma è nella costruzione di se stessa che Eleanor ci convince. In quel modo che ha di porsi, nel nostro pensare, allora possiamo farcela.

Forse il “tutto” che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.

Anzi: benissimo

Eleanor nella sua dimensione riesce a essere anche sprezzante con gli altri, nei giudizi. Non vi nego che questi aspetti del suo carattere li ho apprezzati moltissimo. C’è qualcosa in lei che mi ha ricordato la eccentrica personalità di Sheldon Cooper, il fastidio per il contatto fisico, lo scetticismo nei confronti di alcuni rituali sociali. Dicevo che Eleanor Oliphant sta benissimo ha inaugurato un nuovo genere. Così almeno ha scritto il Guardian che l’ha reso esempio della up lit, da uplifting, cioè la letteratura edificante perché ci trasporta all’interno di un cambiamento positivo. Il libro è stato un esordio d’oro. Tradotto in 35 Paesi, il più venduto di sempre in Inghilterra. E sarà presto un film. Reese Whitherspoon, infatti, attrice e produttrice, ha acquistato i diritti del libro. E per me? L’ho apprezzato molto ma senza sentirmi travolta.
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