È giusto porsi domande del tipo: sarò io il problema se anche La Città invisibile di Monika Peetz non mi è piaciuto? Anche è rispetto ai libri fantasy sui viaggi nel tempo-spazio. Già era andata male con I cieli nonostante l’incipit mi fosse andato a genio ma questo è stata una delusione. E in quarantena non è bene. Allora siamo nel genere very young ma come sapete non è certo un problema per me. Leggo tutto e non ho problemi a immedesimarmi in una sedicenne.
Detto questo andiamo alla trama. Lena è una ragazza che vive con la zia Sonja e due cuginette. Ci sembra subito ambientazione cenerentolesca ma in realtà non è così. Lena ha perso i genitori da bambina, morti in un incidente. È assillata da loro ma la zia è un muro di gomma. Non dice niente. Lena ha un’amica Bobbie, con cui condividerà una scoperta che si rivelerà misteriosa. Tra vecchi scatoloni viene fuori un orologio ottagonale, sul quale è inciso il suo nome. Peccato però che la data sia precedente alla su nascita. Da lì inizia la ricerca di Lena della verità insieme a un personaggio, un ragazzo che viene dalla città invisibile, Dante. La materia prima c’era, la storia poteva essere costruita con più smalto, azione, caratterizzazione dei personaggi. E invece? A metà libro Lena ti urta anche un po’ il sistema nervoso. Peccato.
 
 
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