Il potere del viaggio, la libertà, il dolore, le ombre dei fantasmi che portiamo con noi sempre, i silenzi che annegano nella natura, l’unica capace di ricomprendere tutto anche il mistero che ci attrae nei suoi punti ciechi. Mabel, la farfalla di pietra ultimo romanzo di Dario Campanale, selezionato dal Salone del Libro di Torino nell’Area Self Publishing, mi lascia con la mia tazza di infuso in mano e un sapore agrodolce in bocca. Un libro in cui il mystery di tipo magico si fonda con l’avventura, e soprattutto con una ricerca introspettiva che riguarda ogni personaggio. Siamo a Torino con Paolo, un avvocato affermato rimasto da poco vedovo che non riesce a trovare un rapporto con la sua unica figlia, Lorena. Una ragazza schiva e problematica, che rifiuta la figura paterna e lo colpevolizza delle mancanze con la madre. Una storia normale, una storia straordinaria come lo è ogni relazione che si fonda sull’amore. Paolo vuole ritrovare il legame con Lorena, e per farlo andrà sulle orme della vita di Francesca, sua moglie, finendo nella Torino misteriosa in un locale, che dà il nome al romanzo, culla dell’esoterismo. Da quel momento per Paolo cambia tutto. A causa di una rivelazione andrà con la figlia in un viaggio in kayak intorno all’Isola d’Elba insieme a un altro gruppo di viaggiatori improvvisati, ognuno con una storia, ciascuno con qualcosa da ritrovare. Senza telefoni e social, le storie e l’intimità perduta di queste persone sarà una scoperta tappa dopo tappa, mentre Paolo cercherà di svelare enigmi e riavvicinarsi a Lorena. Tra i sapori dei gamberoni e l’aroma del Vermentino, ci sembra di stare con loro senza avere più paura del silenzio.
La struttura del libro è tale da affrontare i diversi punti di vista, facendoci conoscere la storia, le emozioni, i rimpianti, mostrandoci anche il coraggio. Il romanzo di Dario Campanale è ricco di suggestioni capaci di andare in profondità. E non è questa la magia di un libro? La penna dell’autore si mostra per me in maniera vivida nelle descrizioni di Torino, dove la preparazione dello scrittore che è un architetto si fonde con la sua voce (quella più intima che uno scrittore mette a disposizione degli altri) per far vivere le strade, i palazzi, gli angoli. E così lo stesso avviene negli sprazzi di una natura sempre più dominante pagina dopo pagina.
Acquarilli è una piccola lingua di ghiaia fine a mezza luna, larga qualche metro, incastrata tra il mare cristallino e le ripide pareti di rocce erose coperte di vegetazione e faraglioni…
C’è una sensibilità dell’autore che torna nei suoi romanzi, la crudezza dello sguardo che riconosce la strada in cui si perde. Il tema del cambiamento, della vita schiacciata da pesi e responsabilità, l’alienazione a cui ci spinge la nostra società, sempre più nascosti dai telefoni, dai like, dallo schermo. Non c’è mai moralismo nei libri di Dario Campanale, ma il racconto smascherato di quello che siamo in una città che riesce a farci sentire nessuno e tutto nello stesso istante. Magari grazie a un’alchimia, al coraggio di dire, ci credo.
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