“Non posso intervenire sui miei sentimenti. Devi concedermi i miei sentimenti”. Un androide cosciente ma senza incoscio dominato da una logica perfetta, troppo rispetto all’imprevedibile sbagliare dell’essere umano. Macchine come me di Ian McEwan non è un libro di fantascienza anche se ci trasporta in un 1982 alternativo dove i Beatles si sono riuniti, l’Inghilterra ha perso le Falkland contro l’Argentina e la Thatcher si dimette per lasciare il timone del Paese a Tony Benn che ci ricorda tanto Jeremy Corbin, poi assassinato dopo aver condotto la Gran Bretagna fuori dall’Europa. Sì, tutto questo. Ma ancora di più nel 1982, la tecnologia ha avuto sviluppi incredibili grazie agli scienziati, da Einstein a Feynman che hanno condizionato le piccole cose e i grandi processi industriali. Già, visto che c’è Alan Turing ancora vivo e vegeto che ricordando in un dialogo con il protagonista la sua gioventù, si compiace della scelta compiuta di fronte all’accusa di omosessualità negli anni ’50. Il carcere rispetto alla castrazione chimica. Una scelta felice, dice così più o meno nel romanzo, con sarcasmo, l’Alan Turing padre dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi. L’ironia di McEwan, amara, visto che il vero Turing genio da cui è dipesa la nascita dell’informatica, invece optò per l’orribile castrazione chimica che lo condusse, a appena 41 anni, al suicidio.
E’ in questi anni ’80 che Charlie riceve una ingente eredità. Una montagna di sterline che investe in un acquisto fuori dagli schemi: si accaparra uno dei pochissimi androidi (una ventina) creati con le più formidabili capacità tecnologiche. Non fa in tempo a comprare una Eva, così si chiama il modello femminile, e così nel suo appartamento fa ingresso Adam. Capace di imparare dai propri errori, di evolversi attraverso la conoscenza del mondo intorno e l’accesso costante e continuo alla rete internet, l’androide di Macchine come me diventa il mezzo attraverso cui Charlie vuole legare a sé la poco più che ventenne vicina, Miranda, di dieci anni più giovane di lui. E ci riesce. Insieme lo programmano, nella personalità, e così Adam entra nella dinamica a tre, finendo anche a letto con Miranda. Un tradimento che condizionerà il rapporto, come l’arrivo di un bambino in difficoltà al quale la ragazza si lega subito generando gelosie nei due maschi della casa. Miranda nasconde segreti, la relazione con Charlie evolve, e la notte con Adam viene paragonata all’uso di un dildo. Anche se sono tutti legati. Mentre molti androidi arrivano al suicidio per il peso della sofferenza umana, McEwan ci fa vedere la vertigine alla quale arriva l’intelligenza artificiale. Prova sentimenti, riflette sulla vita e sulla morte, ma non sa scorgere la sfumatura, l’ambivalenza della natura oscillante tra istinti e costruzioni morali, a volte non convergenti. Come riuscire a creare un algoritmo che renda il rossore (e il senso del giusto) di una bugia detta a un amico a fin di bene? Nella semplicità di questa immagine, non c’è solo la prova alla quale sono sottoposti i protagonisti di Macchine come me, ma le domande che ci poniamo guardando un po’ più in là, nel futuro.
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