Il libro culto di generazioni, Il giovane Holden di J. D. Salinger è un capolavoro vero: la recensione del romanzo che ci ha tenuto attaccati ai pensieri di Holden, non è altro che un racconto di me stessa attraverso le pagine di Salinger. Si è scritto di tutto e di più, un classico negli Stati Uniti. Letto in ogni scuola superiore americana. Amato nel resto del mondo. La copertina originale del libro è completamente bianca su indicazione dell’autore che lo pubblicò nel 1951. Io ho due edizioni diverse, una è della collana Tascabili di Einaudi ed è meravigliosa così. Bianca, titolo e basta. Senza neanche la trama. Siamo nel 1949 (almeno così dovrebbe), un po’ prima di Natale. Il libro è ambientato in un fine settimana, dal sabato e siamo nella testa di Holden Caulfiend, sedici anni. Tre anni prima ha perso il fratello minore Allie, il racconto inizia in Pennsylvania dove Holden lascia l’istituto di preparazione al college e continua a New York.
Voglio dire che ho lasciato scuole e posti senza nemmeno sapere che li stavo lasciando. È una cosa che odio. Che l’addio sia triste o brutto non me ne importa niente, ma quando lascio un posto mi piace saperlo, che lo sto lasciando. Se no, ti senti ancora peggio
Alto e magro come un chiodo, con i capelli grigi nonostante sia un ragazzo, è arguto, sensibile, a volte fragile. Una volta espulso dalla scuola, si ritrova nella grande città a girovagare tra ricordi, paure e pensieri. Adora la sorellina Phoebe, più piccola di lui. La bambina di dieci anni è il suo riferimento, con lei si confida facendo affidamento sulla sua infantile saggezza. Non c’è il giovane Holden però senza Jane. E’ l’amica d’infanzia di Holden che non appare mai direttamente negli eventi del libro ma viene evocata dal ragazzo. Per lui è il riferimento capace di far emergere il lato migliore: vorrebbe chiamarla ma rimanda e rimanda.
Spero con tutta l’anima che quando morirò qualcuno avrà tanto buonsenso da scaraventarmi nel fiume o qualcosa del genere. Qualunque cosa, piuttosto che ficcarmi in un dannatocimitero. La gente che la domenica viene a mettervi un mazzo di fiori sulla pancia e tutte quelle cretinate. Chi li vuole i fiori, quando sei morto? Nessuno 
Sono legatissima a questo libro, dico solo questo: leggetelo e fatelo leggere ai vostri figli. E’ il libro della crescita, delle domande. Parlavamo come lui, pensavamo come lui. Io ancora quella storia delle anatre, insomma, mi chiedo ancora dove vadano quando il lago ghiaccia. L’ho fatto leggere al mio primo grande amore, ventenni, ed è iniziato un viaggio, bello e doloroso, nel quale io e lui siamo sempre rimasti il giovane Holden e Jane. Anche oggi che non ci parliamo neanche più. Nella parete della sua stanza, dietro il letto, aveva realizzato un murale gigantesco con le iniziali H&J, che eravamo noi. Lo ricordo con una stretta allo stomaco, forse una parte di me è ancora lì a parlare delle anatre con quel tassista newyorkese.
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