Il problema con i libri dal sapore autobiografico è che ti sembra di giudicare la vita dello scrittore e allora ti trattieni per una forma di comprensibile pudore: inizio la recensione del romanzo Di chi è questo cuore di Mauro Covacich dicendo subito che non mi è piaciuto. E quindi colloco subito l’avvertenza: la valutazione è sul libro, le emozioni e le suggestioni che evoca. Intanto chiariamo che il romanzo edito da La nave di Teseo è nella dozzina del premio Strega. L’ho acquistato per questo, è un semifinalista, e mi garbava la copertina. La sinossi poi mi intrigava. E andiamo nel libro, terminato in fretta e furia perché non vedevo l’ora di passare oltre.

E’ la stupidità che detta legge in amore, non l’intelligenza. L’intelligenza semmai aiuta ad accettarlo.

Al centro delle vicende c’è un uomo, nel quale si ritrovano i contorni dello scrittore, che scopre di essere affetto da una anomalia cardiaca. E’ uno sportivo, di quelli dedicati anima e corpo, nuoto e corsa, così ricevuta la notizia della malattia deve cambiare passo, controvoglia. L’agonismo si trasforma in leggero passatempo, corsette per Roma. Da questo appiglio narrativo si dipana la storia. E’ una ricerca tra le ombre di una città raccontata in questi squarci di vita quotidina e di emarginazione (le parti che ho preferito), e l’introspezione (la parte che ho detestato), nel rapporto con le proprie nevrosi, le paure, e un rapporto che si tiene con l’assenza, con la compagna Susanna. Ci sono speculazioni (la più bella quella su Anne Frank), passeggiate, lexotan e sigarette. C’è un uomo nudo e grasso che ospita le notti immaginarie. C’è confusione, per me, e un punto che non sono riuscita a cogliere. Leggere Di chi è questo cuore mi ha reso possibile però pormi una domanda importante: come vengono scelti i libri per la fase finale del premio Strega? Sarà poi che avevo appena terminato Addio Fantasmi di Nadia Terranova. Altro livello, altre emozioni. Inutilmente pesante e nel modo sbagliato.
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