Sembra così facile guardare dietro l’orrore, almeno è un’illusione, Le Ragazze di Emma Cline è un libro che non si dimentica, scritto talmente bene da ingabbiarti: la recensione di The Girls è un viaggio in una settimana di notte improbabili. Sapete quando non riuscite a chiudere occhio, e fissate il soffitto o un punto preciso agganciato con lo sguardo, per me la cassettiera nera, accanto al letto. Meglio non addentrarsi nelle ragioni dell’insonnia, ma quando succede c’è un’idea sola come un assillo nella testa. Devi dormire, devi dormire, devi dormire. Quando ho iniziato Le Ragazze di Emma Cline erano giorni così. Ed è successo che dopo aver fissato il cassetto per dieci minuti ho sentito un improvviso senso di sollievo. Avevo un libro bello da leggere. Inquietante e bello. E di non dormire non mi importava più. Quindi in una settimana di lampade accese quando capitava, ho conosciuto Evie, una quattordicenne che nel 1969 scopre la deriva, la distruzione, la vita ai margini, la follia, l’amore distorto e il sesso. E’ una Evie ormai sessantenne che ci riporta indietro in quegli anni, la summer love californiana, dove lei, una ragazzina sola, non fa altro che cercare l’altro fuori da sé che la accolga per ricomprendersi e specchiarsi. E’ sola Evie, il padre si è risistemato con una donna molto più giovane, la madre new age non sa capirla. Entra in crisi il rapporto con la sua migliore amica e qui inizia l’altra vita di Evie.

Non appena mi cadde l’occhio sulle ragazze che attraversavano il parco la mia attenzione restò fissa su di loro. Quella dai capelli neri con le sue accompagnatrici, la loro risata un rimprovero alla mia solitudine. Stavo aspettando che succedesse qualcosa, senza sapere cosa. E poi ecco

Queste ragazze che attraversano il parco come squali nell’acqua, attraggono Evie in maniera morbosa. Suzanne dalla bellezza “selvatica” è il suo aggancio, il magnete che la attrae e le dà un senso. Rude, enigmatica, per lei e con lei, in un rapporto che le farà conoscere per la prima volta l’amore anche se mai ammesso, Evie entra nella fattoria. E’ una comune dominata da Russel che insieme alla sue ragazze vive senza regole, se non le sue, sognando di diventare un musicista di grido, praticando una carismatica alternativa alle dinamiche sociali. C’è la droga, l’orgia è la normalità, gli acidi anche, i bambini vengono cresciuti insieme e allevati senza legami, c’è il sesso, la sporcizia, l’uso delle ragazze come strumenti, soggiogate dal leader, connesse da un imprinting con il guru.

Mia madre sarebbe stata via tutto il giorno, l’alcol mi aiutava a stenografare la mia solitudine. Era strano che ci volesse così poco per provare sensazioni diverse, che ci fosse un metodo sicuro per ammorbidire la massa in crostata della mia tristezza

Il romanzo di Emma Cline è tratto da un fatto di cronaca che ha sconvolto l’America, la strage compiuta da Charles Manson e la sua Family – le ragazze appunto – nella villa occupata in quel periodo da Roman Polanski e la moglie, incinta di otto mesi, Sharon Tate. Il regista quella notte era fuori per lavoro e in casa, quando irruppe la squadra di Manson, che uccise cinque persone tra cui appunto la moglie di Polanski. Il proprietario della villa era un produttore che non aveva aiutato l’ascesa del guru nel campo musicale. E questa è la storia che Emma Cline ci racconta su Russel, Suzanne e le altre. La setta omicida. Evie, che non parteciperà alla notte della follia per poco, per una scelta che sembra casuale, per tutta la vita porterà i segni dentro di lei di quel passato impronunciabile. Attraverso i suoi occhi e la penna incredibilmente abile di Emma Cline andiamo nei meandri di quell’orrore, guardando da vicino cosa sia perdere se stessi. Un libro che si può leggere anche senza conoscere la cronaca di quegli anni, sorprendentemente efficace nel trasportarci nelle menti, tra le ragazze. Restando sempre perfettamente in bilico. Non riusciamo a farci pervadere da nessuna empatica capacità di immedesimazione ma nello stesso tempo le distanze tra queste umanità, appaiono terribilmente brevi.
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