Sono in crisi con Chiara Gamberale è il mio titolo, L’isola dell’abbandono è il suo, questa è la recensione di un liro che non mi è piaciuto e ho vissuto con sentimenti di profonda insofferenza. Riuscire a separare noi stessi, la nostra soggettiva emotività, dalla valutazione non è semplice. Ma perché poi affrontare questa impresa? Cosa è il libro se non un’esperienza in spazi illimitati che sono nostri? Quindi non importa. Quanto scriverò su questo romanzo sarà indigesto agli appassionati del fenomeno Gamberale. Un fenomeno sopravvalutato forse come una delle mie libraie di fiducia ha lasciato intendere al momento dell’acquisto, con un colpo di spallucce e una smorfia.

L’isola dell’abbandono si legge male

Intriso di doppi piani di lettura, di metafore immaginifiche sull’abbandono, di suggestioni mitologiche. La protagonista è Arianna e come la più famosa omonima arriva a Naxos con l’uomo che ama, Stefano nel suo caso, e viene piantata lì. In asso, appunto, pare che il modo di dire tragga origine da Teseo e l’abbandono di Arianna a Naxos. Tant’è che la Gamberale ci trascina in dieci anni di vita di Arianna, che iniziano dalla fine. Quando cioè è madre, nonostante le ossessioni, le paure, il terrore di perdere chi ama. C’è chi ha presentato questo libro come il disvelamento nella narrazione della scrittrice della maternità. Non ho visto epifanie, né mi è sembrato di scorgerne in lontananza.

Donne che amano troppo, basta

L’intera struttura del romanzo ruota intorno alla capacità di Arianna di affrontare il demone dell’abbandono, e delle sue paure, quelle che la lasciavano incatenata ad un amore insano, folle, mortificante. Stefano è psicotico, drogato. Ci saranno altri due uomini nell’universo di Arianna, uno lo incontra a Naxos, è Di, il nostro moderno Dioniso (chissà). L’altro lo psichiatra di Stefano. La trama è senza rete. Lo che state odiando la recensione. Lo capisco perfettamente.

Un romanzo senza profondità

L’isola dell’abbandono è una ricerca non riuscita. Il libro appare confuso, a volte incerto, autoreferenziale in quell’emotività che farebbe felice giusto Crepet. Non è asprezza la mia, credetemi, vi racconto perché. Chiara Gamberale scrive di noi. Cioè sembra la nostra migliore amica che ha preso carta e penna. Ci sono pezzi delle nostri colpevoli assenze, delle nostre debolezze, di questi amori pazzi. Però non salpiamo mai. La nave della Teseo Gamberale gira intorno a Naxos da sempre, da troppo. Non lascia andare quell’isola, appare stanca, asfittica. Possibile che dopo vent’anni la scrittrice sia ancora ferma a quegli amori? Possibile che non ci sia spazio dal punto di vista stilistico per una maturazione? Quel ritmo non ha più appigli e ti risucchia nel passato. Io almeno non ne ho trovati.

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