Un libro potente, intenso, emozionante, politico, introspettivo e sociale insieme, Almarina di Valeria Parrella è tutte le sfumature del mare del Golfo di Napoli. Sono contenta di scrivere la recensione dell’ultimo libro della Parrella, perché arriva dopo un paio di lavori italiani che mi hanno lasciata nello sconforto. L’ho letto in un giorno, d’un fiato, sono 123 pagine, il libro edito da Einaudi con una bella copertina. Elisabetta insegna matematica ai ragazzi detenuti a Nisida, il carcere minorile sull’isola inaccessibile se non a loro: cercano speranza, non cercano niente, aspettano di tornare a brandire la disperazione nei vicoli della città, alcuni proveranno il riscatto. Altri tentano la rinascita. Con la descrizione dei luoghi, il cancello, il cortile, la classe, entriamo in quella prigione dove Elisabetta, cinquantenne vedova e senza figli incontra storie, pezzi di vita, altre solitudini. Personaggi dipinti con una maestria narrativa che fanno della Parrella una bellissima penna: il comandante (così chiamato), Aurora. E poi Almarina. L’incontro decisivo.
Non saprò mai dire se è Napoli o se sono io. Se mi grava addosso tutta assieme perché sono stati giorni plumbei, pieni di paura e dubbi, e sospetto. Oppure se è davvero la vista del palazzaccio dall’altra parte del cancello, l’onda gialla che gonfia, le cupole sotto le nubi, architravi troppo pesanti perché una donna sola possa reggerli.
E’ una ragazza che arriva dalla Romania con un passato di orrore alle spalle: stuprata dal padre fugge pagando con il proprio corpo un viaggio affrontao insieme al fratello più piccolo. Verranno separati, ma per lui è la speranza, le dicono così. Elisabetta e Almarina sono due solitudini che si incontrano e che insieme, in un modo o nell’altro, trovano la libertà. Un libro profondo sui legami, sulla maternità come sentimento che va al di là della definizione giuridica oltre che del sangue, Almarina è un libro che tocca alcune corde di noi. Da donna, da cittadina, da lettrice, ci dice che si può tra quelle onde che circondano Nisida, ritrovare noi stessi.
La strada per arrivare a Nisida è lunga e in salita, e tenere tutto assieme è faticoso, e fare tutto bene è impossibile. E così nel quotidiano fare, avevo dimenticato sugli scalini della casa antica, lì dove i ricordi restano in nostra assenza, l’amore delle madri: senza merito, senza reciprocità e senza conquista.
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