La recensione del libro di Sara Haywood, La felicità del cactus, inizio a scriverla in un sabato pomeriggio di agosto, caldissimo, e con un temporale estivo che riempie il cielo di suoni. Il libro edito da Feltrinelli è stato accolto più che bene in Inghilterra, dove l’opera della scrittrice, avvocato e consulente legale, è stato addirittura acclamato. Un esordio del 2018 carico di aspettative, almeno per me, quando l’ho comprato in libreria, intanto per il titolo riuscitissimo, altamente evocativo, e poi per la trama che non poteva che catturare la mia attenzione. Al centro delle 360 pagine c’è la storia di una donna, una quarantacinquenne cresciuta con le spine come i cactus. Si chiama Susan Green la protagonista del romanzo La felicità del cactus, una donna fredda, che ha pianificato ogni aspetto della propria vita, forgiandola sulla necessità dell’indipendenza economica e soprattutto emotiva. Gli altri ci sono, ma dagli altri non si dipende. In questo mondo di regole e con un recinto così alto, Susan si difende tenendo le insicurezze e l’imprevedibilità distanti dalla propria sfera emotiva. Il libro viene presentato come la storia di una donna che con ironia e in una narrazione brillante, riesce a mettersi in gioco e a lasciarsi andare. Ecco perché l’acquisto è stato inevitabile. Mi aspettavo una lettura non epica ma un romanzo piacevole. Eppure non è andata davvero così. La felicità del cactus mi ha deluso, ho faticato a terminarlo, impresa riuscita solo ed esclusivamente per dovere. La banalità non solo dello stile, con Susan che racconta in prima persona senza alcun tipo di guizzo, di vibrazione, piatta e scialba anche nel mettere insieme gli elementi tra il passato e il presente. Non ho colto da nessuna parte l’ironia così tanto anticipata da alcune critiche, ma anzi è stata una delle letture più noiose del 2018.
Ci sono due escamotage narrativi che consentono alla scrittrice di condurre la protagonista da un punto all’altro della propria vita. Di traghettarla cioè dalle sicurezze del cactus, all’incertezza del mondo che è là fuori. A Susan non piacciono le sorprese, e neanche le emozioni. È il motivo per il quale da un decennio ha una relazione totalmente priva di legame sentimentale, e nella famiglia gioca il ruolo della donna perfetta ma distante. Dicevo degli strumenti che utilizza la scrittrice per far spostare Susan da questa sua dimensione. Scopre di essere incinta, il romanzo ci porta dal terzo mese alla fine della gravidanza. E contemporaneamente, la protagonista subisce un lutto, la morte della madre, che non sembra sconvolgerla affatto quanto invece trascinarla in una battaglia legale con il fratello sbandato al quale la donna aveva lasciato la casa. Emerge il retroterra di preparazione di Sarah Haywood che appunto è avvocato e consulente legale, ha impregnato il romanzo anche di di quel tipo di atmosfere. Ma senza riuscirci. E il problema è che non convince in niente questo libro. Il percorso di Susan non è approfondito, non ci tocca, non riesce a instaurare con il lettore alcun tipo di empatia. Susan Green è una delle protagoniste più antipatiche a mia memoria. Non ha nulla della spigolosa irriverenza che abbiamo conosciuto nella letteratura, ci fa sognare persino Rossella O’Hara, non ha niente delle meravigliose protagoniste della letteratura inglese e, non voglio citare neanche la grandiosità delle donne della Austen. Non c’è insomma alcun tipo di fremito a tenerci attaccati alle pagine. Non c’è niente di coinvolgente in questo libro e parlando di esordi e sempre per rimanere dalle parti del Nord Europa niente a che vedere con ben altri titoli, penso ad esempio a Parlarne tra amici, un romanzo che riesce a farti vedere al di là. E ora torno ai tuoni.
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3 Comments

  1. Valeriani Giulia 6 Agosto 2018 at 16:43

    Davvero noioso e monotono…non sono riuscita a terminarlo…

  2. Jessica 13 Maggio 2020 at 09:57

    Premetto che viaggio piacevolmente tra fantasy vari e i vampiri e le stelle sono tra i miei interessi…sono tra quella moltitudine di accaniti lettori-scrittori che si beano delle pagine scritte. sono anche una psicoterapeuta neo-pensionata e ci tenevo a dare un mio parere non solo da lettrice. Portare sulle pagine il sentire di qualcuno nevrotico, diciamo così, richiede una bravura che ,perdonami, i più non riescono a comprendere ed è per questo che ho trovato piacevole la lettura della Felicità del cactus e ben descritte le difficoltà emotive della protagonista. Così spero di leggere altro dell’autrice e di avere ancora la possibilità di “risentirci” con simpatia Jessica

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