Cielo grigio, l’aria timidamente fredda, poca pioggia, sfoglio Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen e penso: adesso metto su un buon tè e affronto la recensione di uno dei libri che amo di più in assoluto. E non sono la sola. Se penso a quanti siamo devoti allo stile della scrittrice britannica vissuta tra la fine del 1700 e gli inizi del secolo successivo, la Austen che Virginia Woolf ha definito “la più perfetta artista tra le donne”, mi dico, siamo una grande famiglia, o no? Quando ci si riferisce a Jane Austen si pensa alla narrativa neoclassica, io penso a una delle prime scrittrci in assoluto che ha scandagliato l’universo femminile. Le sue protagoniste sono il nostro riferimento. Con loro abbiamo conosciuto l’amore, la superficialità, il sacrificio, il silenzio, il dolore, il tradimento. D’altronde Jane Austen ha vissuto sulla propria pelle la difficoltà dell’amore quando si intreccia alle chiusure sociali, che ancoravano le donne al patrimonio di famiglia, allo status.
Jane Austen era vicina a un giovane la cui famiglia però non la ritenne all’altezza dal punto di vista sociale e i due così si allontanarono. Temi che tornano nella narrativa della Austen che ci ha donato Orgoglio e Pregiudizio, il capolavoro per me, anche se ho letto tutto e tutto ho amato. Inizia a scriverlo nel 1795 e viene pubblicato nel 1813. Così conosciamo la famiglia Bennet. In quelle campagne inglesi dove torneremo più volte, le cinque figlie Bennet sono l’ossessione di una madre che sa di poter garantire solo un futuro alle ragazze: un matrimonio come si deve. Con lo stile arguto e ironico della Austen, entriamo in questa famiglia. La signora Bennet ci trasmette subito ansia nel perseguimento dell’unico scopo che vede, sistemare le figlie. E’ frivola al punto da essere adorabilmente fastidiosa. Il marito è un uomo pacato, invece, ironico, che ha una predilezione per la figlia Elizabeth, la nostra Elizabeth intelligente, brillante.

L’orgoglio è un difetto comune, credo. Anzi, stando a tutto ciò che ho letto, sono convinta che sia comunissimo, che la natura umana vi sia particolarmente incline e che ben pochi non coltivino un certo compiacimento per qualche loro qualità, reale o immaginaria che sia. Vanità e orgoglio sono cose molto diverse, benché le due parole siano spesse usate come sinonimi. Si può essere orgogliosi senza essere vanitosi. L’orgoglio si riferisce più all’opinione che abbiamo di noi stessi, la vanità a quella che si vorrebbe che gli altri avessero di noi.

L’entrata in scena del signor Bingley e Darcy, mister Darcy che all’inizio definirà Elizabeth incontrata a un ballo “appena passabile”, è destinata a stravolgere la vita delle ragazze. Di Lizzie e della sorella Jane, la più grande, bella e timida fino all’inverosimile, che si innamora di Bingley. Devo parlarvi di Darcy? Rifiuta con tutto se stesso i sentimenti che inizia a provare, da subito, per Lizzie. Perché? Non è alla sua altezza, dal punto di vista sociale. Un’unione che sarebbe stata vista come inappropriata. L’orgoglio è la sua cifra. Sprezzante eppure solido, leale, il romanzo ci racconta una storia che diventa indimenticabile, negli intrecci, nelle svolte, nei sentimenti che combattono se stessi per poi arrendersi. Orgoglio e Pregiudizio è un libro che non si dimentica. Oggetto di numerosi adattamenti tra cinema e televisione, la prima del 1940 con Laurence Olivier nei panni di Mister Darcy. Io ho il dvd della versione del 2005 con Keira Knightley. Orgoglio e Pregiudizio ci fa scoprire l’amore, ci fa chiedere a noi stessi cosa sia amare, come Lizzie: “Non è proprio l’indifferenza verso il resto del mondo l’essenza del vero amore?”.
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